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mercoledì 18 febbraio 2009

CERASONE ALLA CANTINA DEL BELLINO racconto contadino di giuseppe d'ambrosio angelillo

Era una di quelle sere prima di Natale, là all'osteria del Bellino, vicino alla stradina del San Benedetto. Una di quelle sere quando c'è molta voglia di mangiare bene e di soldi in tasca ce ne sono davvero pochi, o proprio per niente.
Comunque sia Cerasone, un contadino piazzato e forte, se ne va lo stesso alla CANTINA, carico di appetito e di nulla allo stesso tempo...
4 braciole piccanti, mezza pagnotta di pane, e un litro di Primatino verace, quello a 16 gradi con la boccata dolce, rinforzato a ceste di fichi e frutti di bosco...
Cerasone è già seduto e aspetta,con l'acquolina che fa fatica a non colargli dalla bocca. Bellino gli s'avvicina e lo squadra. Lo conosce da una vita, il furbacchione.
- Ce l'hai i soldi? - gli chiede a bruciapelo.
Cerasone nicchia, si ravana a disagio nelle tasche, si sposta a destra, a sinistra. Poi alza le spalle, neanche una firmedda di camicia...
- No, mi sa che sono a secco - biascica lui.
- Allora, compare, non ti do un bel niente...
- COME?
- Niente...
- MI MANDI VIA SENZA MANGIARE?!
- Hai capito bene, compare mio...
Cerasone si inalberò come una belva sfottuta a morte:
- MALEDETTI BALORDI! AH! SE VE LA FARO' PAGARE! AH! SIATENE CERTI! AH! ECCOME! CERTO CHE SI'! VE NE PENTIRETE AMARAMENTE! PEZZI DI FESSI CHE NON SIETE ALTRO!
Urlava come un elefante, torceva gli occhi come una tigre, si agitava tutto come un serpente.
- Calmati, Cerasone.
- Suvvia, Cerasone. Stattene tranquillo.
Dicevano i suoi amici. Ora l'uno ora l'altro.
Non l'avessero mai fatto. Cerasone si adirò ancora di più, se questo era davvero possibile.
- AH! MI RIFIUTATE LA CENA?! AH! GUAI A VOI! GUAI! MI SA CHE MI SCATENERO' COME MIO PADRE!
Quelli sbigottirono, tutti intorno a lui.
- COME MIO PADRE! COME MIO PADRE QUANDO GLI NEGAVANO LA CENA! AH! GUAI A VOI!
Tutti tremarono. Un uomo fuori di sè, si sa, è capace di tutto.
E allora chi gli portava il vino, chi gli serviva le braciole, chi gli dava il pane. Chi lo accarezzava, chi lo blandiva, chi gli sorrideva.
Allora Cerasone si calmò, si sedette, si mise comodo, e soddisfatto si satollò ben bene.
Dopo che si fu saziato e bene. E tutti videro che si era rilassato del tutto e che gli si poteva allora parlare liberamente, Don Liborio Mangiaformaggio gli si avvicinò ancora cauto, che certo non bisognava fidarsi eccessivamente di un tipo iroso come quello, e gli domandò:
- OH! Cerasone, ci vuoi raccontare ora che minchia faceva tuo padre quando gli rifiutavano la cena?
Cerasone schioccò la lingua. Si scavò con uno stuzzicadente un pezzo di braciola da un dente, ruttò mettendsi educatamente la mano davanti alla bocca e disse:
- Che minchia volete che facesse? Se ne andava a casa bestemmiando, dava un bacio alla Madonna, e si metteva coricato...

GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO, contadini e squattrinati, racconti
inediti

www.libriacquaviva.org

giovedì 12 febbraio 2009

mercoledì 11 febbraio 2009

SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA romanzo di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

GIUSEPPE D’AMBROSIO ANGELILLO

SPINOZA SE NE VA IN TERRA SANTA

Romanzo

INCIPIT

1

Quando a uno gli tocca la fortuna, gli tocca la fortuna e quando a uno gli tocca il castigo, gli tocca il castigo. Non c’è niente da fare, non c’è argine, non c’è muro, non c’è fortezza che possa tenere. Non serve la logica, non serve l’intelligenza, non serve la forza, non serve niente di niente. Bisogna soltanto pregare che arrivi la buona sorte e poi cercare di far scoppiare il fegato a tutti gli altri, tanto il giorno che sale, la notte che scende non serve a un bel nulla, serve come tutti gli orologi che segnavano l’ora l’anno scorso.
Non si può far niente contro la cattiva sorte, non si può leggere cento libri e trarne una dritta. Non si può fare niente di niente. Ti può mettere anche a scorciare la tua stessa pelle, puoi anche andartene all’inferno a bruciarti ai fuochi eterni, puoi anche scendere al manicomio e ripassare tutte le pazzie del mondo, puoi anche infilarti negli amici dello Stato o nei suoi giurati nemici, è sempre la stessa storia. Puoi anche non passare un minuto a dormire o puoi pure ronfare per tutto il giorno, il destino sembra che si prenda gioco di tutti noi e dove si arriva, si arriva, non serve né correre, né stare fermi, non serve né leggere Hegel, né leggere Platone, né leggere la Bibbia, né leggere il Kamasutra. Quello che viene, viene.
Bisogna soltanto pregare che ci sia la buona stella, altrimenti, o pregare Dio o pregare il Diavolo, è la stessa medesima cosa e poi potete mettere tutto sul mio conto spesa, ragazzi miei, qui certo non ve la tiro con i sommi sistemi, con le massime teorie sul perché una cosa è così e non cosa, sul perché questo è questo e quello è quello. Si arriva tutti al medesimo istante, questo stesso istante che stiamo vivendo, con la nostra circostanza circostanziata nella quale siamo affondati o in cui ci ergiamo, praticamente, la nostra situazione contemporanea, nostra ipse esistenziale, ciò che siamo noi, voglio dire, senza tirarla troppo per la manfrina.
Eh, ragazzi miei, tanto per intenderci, io vendo storie alla crema con un po’ di sarcasmo, sì, sono sempre io, quello là, Joseph K. con la K puntata, lontano parente di matti, lontano parente di saggi, lontano parente di fuori di comprendonio, anch’io c’ho il mio negozio, che volete farci? E diceva mio nonno: “Guai a chi non ha niente da vendere!”
Io spero che voi la mia mercanzia me la compriate e la fate circolare un po’ in giro, che arrivi alla mia parca borsa, squinternata e svuotata di tutta quella lira che mi permette di andare avanti e di continuare con le mie narrazioni. E così, belli miei, eccomi di nuovo qua, con un’altra storia, magari, senza principio, né fine, cominciando dal mezzo, come dice il mio amico, calandomi d’improvviso con i piedi nel piatto.
Ecco, son qua di nuovo, vogliatemi un po’ di bene, perché il male mi basta e mi avanza e tutti questi falsi amici che mi promettono mille cose e non ne mantengono neanche un pizzico di polvere, alla malora! Meglio star da soli, con questo secolo di solitudine che mi pesa sulle spalle, per gamba, direbbe un altro mio amico e al mio paese, nella bassa Terronia, gente di principio, gente con fede, con ideali, ma che ora, la televisione, il ramino e il cicchetto al bar, stanno guastando come dappertutto. Ma ci basta ancora un po’ di speranza e possiamo continuare ancora, possiamo andare avanti, tirarci le coperte su alla mattina, mettere i piedi a terra e calzarci di nuovo le scarpe e ricominciare, tanto, non abbiamo alternativa, non abbiamo più niente da fare e ricominciare ancora una volta.
Eccolo qui, il mio nuovo libro, ancora davanti, il mio tomo, che spero che vi duri almeno per una serata, a farvi compagnia e a mettervi un po’ di buonumore, ecco, la coscienza di tutti loda la bellezza, credo, e anche il mio fratellino di campagna se ne sta lì, zitto, e cerca sempre di fregarmi, là, questa creatura del bosco, che vedo e non vedo, sento e non sento. Ecco, ma non voglio andare fuori tema, non voglio perdermi nei mille rivoli che una narrazione può portare accanto e, come si dice, come si dice lì, sempre dalle mie parti, paese di contadini, gente onesta, senza bruma negli occhi, senza astio nel cuore, gente cortese e allo stesso tempo truce e veritiera, ci vuol poco a dir bugie, che volete che sia, passa il tempo e il risultato è sempre quello, passano gli anni e certo tutti vogliono qualcosa di più.
Io sono sempre il solito, il solito filosofo disoccupato, nessuno più mi compra le mie vedute su Nietzsche, o i miei prospetti sul futuro, forse appartengo a un’altra realtà, io, appartengo a un mondo alieno, ma che volete farci? Tutto sommato, son qua, senza una lira, senza permessi, con tutti i cani da guardia che mi rincorrono per cercare di cavare qualcosa pure da me, per fare andare avanti il governo, ma il governo dovrebbe darmi pur lui qualcosa, io dopo tutto, do quel che ho, i miei libri e se non c’avessi voi, cari ragazzi miei, sarei ben conciato, se non ci foste voi a mantenermi, potrei buttare tutte le mie penne dalla spazzatura e tutti i miei quaderni nel cesso.
Ma la vita me la scavo ancora, me la scavagno, me lo guadagno il tozzo di pane e tiro avanti fino a Pasqua e poi di là fino all’estate e m’arrangio fino all’autunno e con gran tormento arrivo a Natale, a Capodanno m’arrangio ancora e a paragonarmi agli altri non me ne viene neanche il buzzo, tutto sommato, credo di essere anch’io fortunato, ricco, certo, senza macchina e senza salotto, senza televisione, pure, Dio me ne scansi e liberi!
Ma le vacche non mi muoiono, proprio perché non le posseggo, così ora, anche con questa crisi, io i milioni di euro, non li perdo mica, perché non ne ho neanche un centinaio per arrivare a fine settimana, ma non voglio aprir bocca soltanto per dir stronzate, o scempiaggini sulla mia povertà, potrei raccontare anche qualche storia di crema, come vi diceva, di dolcetti, pasticceria minuta, certo, ma un po’ di zucchero per le vostre mani, un po’ di dolcezza per i vostri occhi e perché no? Tanto siam tutti qui a lavorare per qualcuno che non ci pagherà mai, perché, forse, questo è soltanto un paese di ladri, o meglio, i ladri che vanno lì, sulla prima e tutto il resto, lì, al seguito a cercar di campar con le briciole, come me stesso, io.
E così anch’io ogni pomeriggio mi reco al mercato, la mattina non ce la faccio proprio, perché sto alzato tutta la notte, appunto, per confezionarmi queste mie storielle e anch’io me ne vado al mercato, lì, a cercar di piazzare qualche quaderno, qualche disegnino, qualche ritrattino, venuto ora bene, ora male, ma dopo tutto, son contento di essere nato uomo e non cane, o peggio ancora, asino. E così, diceva sempre mio padre contadino, anche se poi, i suoi baiocchi se li teneva ben stretti, lì, dietro i mattoni del cortile, dietro il barile del vino e gli zuli dell’olio. Ma era un’altra sartoria, con un’altra sciancateria e non parliamo poi delle feste, sempre a lavorare anche quelle, ma dopo tutto, chi lavora è anche un imperatore. E non vi dico dove si dice, tanto tenetelo per certo.
Sì, ecco il mio paese un po’ sbandato, un po’ utopico, un po’ bellissimo, un po’ sciagurato, son qui anch’io a fare lo scrittore errante, il seguace di Spinoza, il filosofo a un giorno alla settimana e son io qua con la Bibbia nel taschino e la speranza legata allo spazzolino da denti. Questo Joseph K. che non la vuole smettere di fare il troviale, il logorroico, il grafomane, ma chi se ne importa? Tanto son qua a raccontarvi a voi, sì, cari ragazzi miei, a voi e con l’aiuto di qualche Dio benigno, so per certo che Apollo me ne vuole e forse anche Dioniso e qualche altro della combriccola, che mi fan campare da artista e non mi fan morire e lì, con gli auguri e le screanzate me la tiro la vita e lavoro come vi dicevo prima, certo, non come un operaio o un contadino, che v’assicuro, ragazzi, penano ancora di più nella vita.
Ma anch’io mi porto il mio bagaglio, la mia pena e il mio tormento e ne ricavo qualcosa per voi, così abbiate un po’ di pietà di me e non scandalizzatevi troppo se nelle mie tasche ci sono soltanto 50 centesimi non è soltanto per una pasterella alla crema e poi, bene o male, troverò il modo d’infilare tra queste righe e di rioffrirvela a voi. Che gli dei benigni ci aiutino e che tutti noi abbiamo fino a sera una cena con cui tirare avanti e riempirci la pancia! Perché, certo, non siamo bestie, amici miei, siamo anche noi uomini, non siamo cani, siamo anche noi figli di uomini e forse anche figli di Dio, anche se, certo, qualcuno vuol scaricarci via tutto il santo giorno e tutta la santa notte. . . .
.......
.......
continua....

in uscita aprile 2009

giovedì 5 febbraio 2009

OGNUNO CORRE DIETRO ALLA SUA PAZZIA poesia di giuseppe d'ambrosio angelillo

ognuno corre dietro alla sua pazzia
con la cravatta annodata perfetta.
chi dietro le donne
chi dietro il locale
chi dietro il bicchiere
chi dietro la poesia
chi dietro il più matto se stesso
mai esistito a questo mondo.

ognuno ha una ballerina sconcia
che gli balla furiosa il tip-tap nel cervello.
sala da carnevale
con tutti a gridare: EVVIVA!
gli uccelletti a volare
le signorine a sbaciucchiare
il primo a passare.
partita a scopone
dove si vince un'arrapata
e si perde il cuore.

ognuno ha un nuovo giorno
chuso a chiave nel suo ultimo sogno
dove c'è una notte piena d'amore
e un limone pieno di stupore.
dove la terra è un paradiso
e qualsiasi parola
una dichiarazione di bene eterno.

ognuno corre dietro alla sua follia
con gli occhi sbarrati di terrore
ma le scarpe lucidate a puntino.
chi corre dietro a una calza
chi corre dietro a un divo
chi corre dietro a un pallone.
chi corre dietro a un romanzo
chi corre dietro al più grosso se stesso
mai visto a questo mondo.


giuseppe d'ambrosio angelillo, OGNUNO CORRE DIETRO ALLA SUA PAZZIA,
acquaviva 2002

www.libriacquaviva.org

martedì 3 febbraio 2009

I GRANDI POETI poesia di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo

Tutti che sono dei grandi poeti
appena prendono una penna in mano
e scrivono la prima cazzata
che gli passa per la testa.
Donne
uomini
docenti di italiano
ubriaconi
cornuti
troie.
Mentre gli operai sudano in fabbrica
i contadini lavorano la terra
i marinai sono sulle navi a navigare per mare.
I sommi poeti scrivono poesie
poesie
poesie
poesie.
La stessa cazzata in salsa verde.
La stessa cazzata in salsa gialla.
La stessa cazzata in salsa rossa.
La stessa cazzata in salsa bianca.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
I sommi poeti scrivono somme poesie.
La stessa cazzata pubblicata nella rivista blu.
La stessa cazzata pubblicata
nella rivista arancione.
La stessa cazzata pubblicata nella rivista celeste.
La stessa cazzata pubblicata nella rivista rosa.
Qualcuno di loro arriva a pubblicare
una raccolta a proprie spese
o a spese del padre
o a spese dell' amante.
E di solito è un libro che raccoglie cazzate.
Libro di poesie 1
Libro di poesie 2
Libro di poesie 3.
E di solito è solo una corsa alla pazzia.

Talvolta i sommi poeti
cominciano un libro di prosa
ma non lo portano mai a termine.
La loro specialità sono le poesie.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
Cazzate che si assommano a cazzate,
sempre più cervellotiche
sempre più incomprensibili
sempre più indecifrabili
sempre più idiote.

Alcune donne si stancano e tornano in cucina,
alcuni uomini si stancano
e tornano a giocare a bocce.
I docenti di italiano sono infaticabili,
imitano Leopardi
imitano Foscolo
imitano Manzoni
e si tengono in allenamento
per partecipare al premio Nobel.
Le ubriacone si stancano e tornano al bicchiere.
I cornuti si stancano
e tornano a vedere i film di guerra.
Le troie si stancano e tornano a battere.
Ma i docenti di italiano non si stancano,
e se ne stanno in piedi anche la notte
e scrivono.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
Alla mattina vanno a scuola con i coglioni girati
e bocciano i ragazzi su tutta la linea.

I docenti di italiano scrivono così tante poesie
che forse non fanno mai l' amore.
Nemmeno con le loro mogli.

I grandi poeti pubblicano poesie
su tutti i giornali di quartiere,
su tutti i giornali del sindacato,
su tutti i giornali di pubblicità gratuita.
Loro davvero sono dei veri professionisti.
Fanno incontri di poesie
con quattro persone per pubblico,
di solito loro stessi familiari e amici.
Danno i loro libri di poesie a tutti i vicini,
al macellaio,
al droghiere,
al lattaio,
al vigile urbano di quartiere.
Tutti fan loro i complimenti
e mettono i loro libri
sotto gli elenchi telefonici,
e li usano per non far volare via
le bollette da pagare.

I grandi poeti sono o di Roma
o di Firenze
o di Milano ( però solo quelli
che abitano entro la Cerchia dei Navigli).
Qualcuno fa loro delle foto
e poi ne pubblicano anche un libro
naturalmente con una loro poesia inedita.
Le loro facce annunciano come le loro poesie
una disgrazia
un' alluvione
un terremoto
un naufragio
una morte improvvisa
un amore ma tassativamente non consumato.
I grandi poeti non trombano mai
ma in compenso si odiano a morte tra di loro.

I grandi poeti scrivono sempre poesie.
Per questo sono grandi poeti.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
I grandi poeti sono di solito
dei grandi stronzi pure.

Poesie.
Poesie.
Poesie.
Poesie.
La corsa verso la follia non può avere fine.

Anch'io sono un grande poeta:
mi cucino gli spaghetti
dormo fino a mezzogiorno
faccio l' amore con la mia bella.
Raccolgo le olive
innaffio le rose
volo abbracciato con la mia sposa sulla città.


Giuseppe D'Ambrosio Angelillo, LA VITA E' UNA PAZZA CHE LE PIACE IL DEMONIO, Acquaviva 2003

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lunedì 2 febbraio 2009

UNA DELLE PIU' BELLE POESIE DI EMILY DICKINSON per G.D'Ambrosio Angelillo

IL CUORE

Il cuore chiede goduria in prima battuta,
e poi si scusa per il dolore,
e poi, queste piccole superflue
sofferenze da moribondi.

E poi, si va a dormire
e poi, se si potesse essere almeno
la volontà del proprio Inquisitore,
la libertà di morire.


Emily Dickinson
(versione di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo)

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