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sabato 16 luglio 2011

G. D'Ambrosio Angelillo SCHEHERAZADE poema ACQUAVIVA

Ero innamorato di una ragazza che non mi voleva e una ragazza che io non volevo era innamorata di me. Quello che mancava al mio destino era un minimo di tempismo, nell'amore come per il resto delle mie cose. M'ha sempre tirato fuori dal disastro una canzone alla radio, un romanzo comprato per caso, una gentilezza da una perfetta sconosciuta. Poi per il resto l'amore che seguiva era sempre meglio di quello precedente, per me era come salire una scala. Se vuoi andare in alto devi faticare e qualcosina la devi pur sempre rischiare. Io dimenticavo il vecchio e vedevo come funzionava il nuovo. Comunque è sempre meglio amare che incancrenirsi nell'astio continuo, e per far questo bisogna semplicemente alzarsi e andar via. Non ci vuole mica tanto. E' sempre meglio la solitudine che un odio sempre a covare sotto una cenere finta fredda. Certe volte basta andare in riva al mare e mettersi a guardare l'orizzonte. Certe volte basta mettersi ad aspettare il tram alla fermata, e se è di ritardo tanto di guadagnato. Il soffitto a casa tua ricorda certo tutte le urla, le bestemmie e le scarpe lanciate in faccia per fare molto male. E allora per evitare che cresca la rabbia fino alla follia dell'ubriaco è sempre meglio prendersi la valigia pesante del proprio dolore e andarsene nella notte. Non prendere neanche il taxi ma andarsene a piedi nel buio del proprio silenzio. E tornare finalmente a casa propria, triste come un eremo, ma con una pace notturna mica tanto spiacevole.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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