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domenica 30 ottobre 2011

DOSTOEVSKIJ E IL PROBLEMA DEL DENARO di gd angelillo

Oggi, 30 ottobre 2011, è il 190esimo anniversario della nascita di Dostoevskij. Non sembrano tanti anni vista la popolarità e la passione costante con cui i lettori continuano a seguire questo grande Autore, un Maestro certo nell'arte di scrivere romanzi e non solo. Le scoperte filosofiche e psicologiche da lui largamente disseminate nei suoi capolavori sono ben lungi da essere valorizzate e diffuse nella nostra minuta quotidianità. C'è ben altro da fare ai nostri tempi che correr dietro a Dostoevskij. E' il denaro il problema principale del nostro tempo non Dostevskij.
Ma è ben strano come altamente significativo che lui già in "DELITTO E CASTIGO" aveva messo al centro della sua problematica proprio il denaro (problema che continua a angustiarci nonostante passino i secoli). Gli faceva davvero specie a Dostoevskij come nella società il denaro era gestito principalmente dai vecchi che se ne facevano davvero poco (se non l'usura, la speculazione e l'odiosa pratica dell'avarizia), data appunto la loro età avanzata, e non i giovani, che con la loro energia e le loro nuove idee al contrario se ne potevano fare molto, e non solo per loro stessi ma per l'intero complesso della società. Ma proprio i giovani erano costretti, dalle scelte sciagurate dei governanti (anch'essi vecchi), a viverne quasi senza e lasciati invece che al fervore della loro attività, in una grigia e desolante impotenza, destinando la stessa società a languire e a stentare nel suo cammino quotidiano. Di qui la folle idea di Raskolnikov, lo spaccato, potremmo benissimo dire pure l'alienato, di ammazzare il denaro. E Raskonikov uccide l'usuraia, non a caso una vecchia, per uccidere il denaro, e quasi liberare in un estremo gesto l'intera società da questa mostruosa tirannia che è nei fatti il denaro. Ma non solo uccide unicamente un essere umano, seppure spregevole, ma è costretto pure a uccidere una innocente, la sorella dell'usuraia, una delle persone più buone dell'intera città.
Lo scacco di Raskolnikov è micidiale, non solo non è riuscito a uccidere il denaro e ha ucciso invece solo una vecchia, e pure una donna buona, ma è diventato lui stesso una persona spregevole, la più spregevole di tutte: un assassino. Il fallimento è totale. E qui ci sono pure le critiche a futura memoria di coloro che credevano di cambiare il mondo semplicemente uccidendo tutti i ricchi. Vedeva lungo Dostevskij, chi uccide i ricchi non uccide il denaro ma uccide semplicemente uomini.
Ma perchè il denaro non si lascia uccidere?
La risposta che ci dà Dostevskij, nascosta nelle righe della sua recondita ma pur possente "filosofia nella narrazione", è incredibile: il denaro è impossibile da ammazzare per il semplice motivo che il denaro è solo un nulla. Il denaro in sè e per sè preso è uno zero completo, un nulla senza nessun valore.
Ma Dostevskij non è un ingenuo nè un inconsistente sognatore, questa risposta è argomentata e solida. Dostoevskij è uno dei più grandi umanisti del nostro tempo, se non il più grande, e quindi la sua argomentazione è più che degna di essere presa in considerazione.
Ma allora perchè il denaro, pur essendo un vuoto nulla, è così potente, così potente da umiliare e schiacciare quasi sotto il suo tallone tutta quanta la società, e soprattutto i giovani?
Il denaro è così potente, pur essendo un nulla, perchè gli uomini hanno deciso di depositare proprio nel soldo la fiducia che dovrebbero avere in loro stessi, nei loro simili, nella società, nella stessa natura, ultima e vera elargitrice di reali ricchezze per l'uomo. Tutta la loro fiducia è rinchiusa nel feticcio del denaro, non facendone rimanere neanche un millesimo nella comune vita che si porta insieme avanti nella comunità alla quale si appartiene.
Oltre Raskolnikov i veri delitti sono nella tirannia del denaro e i reali castighi nella cecità degli uomini di non aver fiducia nella propria stessa gioventù.
Ma la cosa più mostruosa non è nemmeno questa: è che la tirannia il denaro la esercita nel vivo stesso della nostra anima, cioè noi diamo il nostro allucinante consenso a che questa trucida tirannia continui a perpetrare i suoi delitti contro noi stessi.
La soluzione?
Dostoevskij non dà nessuna soluzione, enuncia solamente il problema, sarà comunque una saggia gioventù che risolverà la questione un giorno, perchè i vecchi anche al nostro tempo non capiscono niente di denaro e questo per il semplicissimo motivo che il loro unico problema è il denaro, cioè uno stupido nulla, e non invece la vera crescita della società, cioè la gioventù, il futuro vivo e concreto dell'intera umanità.
Dostoevskij, mica facile venirne a capo con una semplice manata di stucco.
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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PASSAPAROLA

sabato 22 ottobre 2011

SPOSA D'AMORE racconto contadino di GD Angelillo

Una volta un procacciatore d'affari milanese incontrò un professore di musica di nome Ismaele e gli disse:
"Oh! Ma dove mai ti eri cacciato, è un secolo che ti vado cercando!", disse il trafficone che si chiamava Sansone.
"Perché? Che c'è? Non potevi più combinarla se non mi trovavi?", disse Ismaele, un pò infastidito.
"No. No. Voglio farti conoscere la fata delle favole che tutti gli uomini vorrebbero conoscere".
"Magari io no".
"No. No. Lascia stare, anche tu, anche tu... seppure ti pregi di vivere un pò troppo tra le nuvole della tua musica".
"E' la mia vita, e io me la son scelta".
"Ismaele, amico mio, questa non puoi lasciartela scappare: ha un milione di euro di dote, suo padre è un industriale di alto rango".
"Sansone, era meglio che non m'incontravi".
"Che c'è? Ne vuoi una più ricca? Ce l'ho! Ce l'ho! Una ragazza bellissima che ha ben tre milioni di euro di dote! La figlia di un noto banchiere svizzero!"
"Lascia stare... lascia stare... Io la mia sposa me voglio trovare da solo... Io è il vero amore che cerco, non i milioni di euro, nè le figlie di industriali o di banchieri... Lasciami perdere..."
"L'amore? Ma tu sei un pazzo! Di questi tempi parli d'amore ancora?"
"Sì, d'amore, e allora?"
"Amore di questi tempi? Tu vuoi allora sposarti con una cambiale che non finirai mai di pagare, nemmeno se tu campassi mill'anni!..."
"Ma che dici?", disse trasecolato Ismaele, fermandosi di botto.
"A una cambiale infinita ti porterà la tua follia, il tuo amore da solo non reggerà nemmeno una sedia della tua casa senza la ricchezza... Un destino di grama povertà t'aspetta, pane duro e musica darai ai tuoi bambini, che passeranno forse più guai di te e di quell'altra sfortunata che avrà l'ardire di sposare un artista spiantato come te", disse Sansone guardando con sufficienza il suo amico musicista e anche con certo qual disprezzo.
"Tutto come vuoi tu, caro amico mio, ma io son convinto che musica e povertà facciano pure le anime migliori, mentre ricchezza e nulla le facciano parecchio peggiori...", disse infine Ismaele, tirando sorridendo dritto per la sua strada, lasciando letteralmente di stucco il suo amico arruffamatasse...
GD ANGELILLO
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domenica 16 ottobre 2011

GIOCATORI DI CARTE di gd angelillo

Me ne andavo come uno sperduto in un palazzone tutto buio e pericolante, un pò sbandato e confuso, non ci capivo più niente di nulla, nè del bene nè del male, nè dell'alto nè del basso. Ero diventato quasi uno scervellato, svuotato pure della mia vecchia e inesauribile energia. Mi adiravo per tutto, e ne ignoravo perfino il motivo, anzi forse lo capivo benissimo: avevo paura di tutto e non ero sicuro più di niente. Comunque quel palazzone era la notte fatta persona, oscura, tetra, piena zeppa di insidie. Sentivo odore di alcool, e pensai che forse dovevo essere in un luogo di perdizione, di deboscia e di malaffare. Salivo le scale, piano dopo piano, e il lezzo dell'abisso aumentava sempre di più. 
"Forse farei meglio ad accendere un lumino ora", pensai. "Posso cadere da un momento all'altro e nemmeno saprei dove".
Così feci, accesi un lumino (avevo solo un fiammifero e non potevo assolutamente fallire, ma la sorte mi fu favorevole e ci riuscii), e vidi finalmente a un tavolo quattro uomini misteriosi giocare a carte.
"Scusate, uomini, ma io cerco i miei amici che forse come voi se ne stanno a giocare a carte da qualche parte in questo oscuro palazzo", dissi loro.
"Siamo noi i tuoi amici, pirla", dissero quelli e scoppiarono a ridere.
Li guardai bene e li riconobbi, erano proprio loro, i miei cari, maledetti, insostituibili amici e così anch'io scoppiai a ridere per il terrore attraversato per tutta la notte e finalmente d'incanto scomparso di botto.
Eppure non ero ubriaco e neppure un fesso, avevo avuto semplicemente il panico assurdo di essere rimasto solo in quel terribile palazzo oscuro che se ne diventa a volte la tua città quando inspiegabilmente a volte pensi che non hai più nessuno amico vicino a te.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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GERMANIA poesia di gd angelillo

Germania, faro di filosofia sul mondo.
Ma come sbandata di cervello
tratti da padrona
sia la Grecia che l'Italia.
Non ti ricordi nemmeno lo sfregio
che ora non è molto ti pregiasti
di schizzare loro addosso.
Eppure senza Grecia e senza Italia
tu nemmeno potresti chiamarti Germania,
faro di filosofia sul mondo,
e non a caso pur richiami
la nobile fratellanza.
I poveri son banditi però,
gli affamati son cacciati.
La superbia è grossa
e la voce è parecchio in alto.
Eppure tu sei la sorella più piccola,
tutto quello che sai
te lo insegnarono una volta
sia la Grecia che l'Italia.
Ora vuoi mentire
e dici che da sola reggi l'Europa
e forse pure una gran parte del mondo.
Eppure ora non è molto
chiedesti perdono ai tuoi offesi e umiliati,
agli uccisi e ai deportati,
e il perdono ti fu accordato.
Gli oppressi sono oppressi,
gli sfruttati sono sfruttati,
il tuo denaro pregiato viene forse pure da là.
Ora sei in auge
e ti credi migliore,
ma non sempre chi è in alto
parla e si comporta meglio.
Ora non è molto
gli americani e i russi
hanno tolto la pistola al bandito,
e come una pezzente ti ritrovarono
i popoli di tutto il mondo quando ti salvasti.
Ma ora non ti ricordi più
che tutti ti tesero una mano,
compresa la Grecia e l'Italia.
Ora tu non ti ricordi più,
Germania, faro di filosofia sul mondo.
Ma forse proprio sotto il faro
è scappata via la luce.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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giovedì 13 ottobre 2011

Verlaine SOTTO IL CIELO DI SATURNO tutte le poesie ACQUAVIVA

"Povera gente!
L'Arte non è sbriciolare
la propria anima:
è di marmo o no
la Venere di Milo?"
PAUL VERLAINE
.
Tutte le poesie del genio della Poesia Maledetta: Paul Verlaine
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L'ANGELO CADUTO di gd angelillo

I bambini arrivarono correndo dal cucuzzolo della collina e giunti al piano subito sciamarono come tante lepri in tutte le direzioni. Uno di loro dietro un cumulo di raspe secche dietro la cantina sociale trovò tutto fermo e freddo, mezzo rattrappito un ragazzo stonato e intontito. Sembrava che avesse preso tante botte, o che qualcuno lo avesse maltrattato di brutto. Subito tutti i bambini gli furono intorno e cominciarono a chiedergli chi fosse, donde venisse e se aveva qualche rimostranza da avanzare.
"Mi hanno rubato le mie ali", disse il ragazzo lentamente e a fatica.
"Quali ali? Sei un aeroplano forse?", disse Superbone.
Tutti i bambini scoppiarono a ridere e questo al ragazzo fece ancor di più male.
"Mi han fatto cadere" disse il ragazzo," mi hanno strappato le ali".
"Ma sei un angelo forse?", chiese Cerino, con fare indagatore.
"No, sono un generale di angeli", disse il ragazzo, serio serio.
I bambini scoppiarono di nuovo tutti a ridere.
"E la tua armata dov'è, fanfaluca, a lavarsi i piedi sulla riva del cielo forse?", disse Superbone, con il suo solito fare sarcastico.
"No, la mia truppa siete voi, i bambini", disse il ragazzo.
I bambini smisero di ridere.
"A questo matto non gli hanno rubato le ali, gli hanno rubato il cervello", sentenziò Superbone e si voltò mettendosi subito a correre dietro l'enorme cumulo di raspe della cantina sociale. I suoi amici tentennarono un pò ma poi subito lo seguirono mettendosi a correre come dei gatti pure loro.
Il ragazzo se ne rimase solo pensando a come poteva mai recuperare le sue preziose ali. Ma fu abbastanza facile: gli bastò guardare il cielo e le ali gli ricrebbero in un lampo. E allora subito s'involò oltre il cumulo di raspe, oltre la cantina sociale, pure oltre il paese.
I bambini lo videro e rimasero senza fiato a guardarlo volare.
"Mizzica! Quello è vero che è un generale, guardate come vola alto!", disse Cerino in un soffio.
"Vola, ma mica tanto alto", disse contrariato Superbone, " E poi è impossibile che sia un generale perchè è troppo magro".
G. D'AMBROSIO ANGELILLO
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soldato rock

giovedì 6 ottobre 2011

LA NOTTE PRIMA DI NATALE racconto di G. D'Ambrosio Angelillo



"Nella Notte prima di Natale
possono davvero capitare
tanti tipi di miracoli, che voi mai
potreste nemmeno pensarci
tutti i giorni del resto dell'anno".
G. D'Ambrosio Angelillo


Era la Notte prima di Natale e noi ce ne stavamo tutti su una lunga panchina di pietra a Brera, con caffè bollenti in mano e una bottiglia di grappa che girava come una trottola da uno all'altro. Faceva un freddo bestiale e di sicuro di lì alla mattina, il Natale, si sarebbe messo a nevicare. Noi ce ne stavamo lì a vendere le nostre povere cose, io i libri, altri quadri, sigarette, stampe e mille altre cianfrusaglie. Brera era anni che ci dava da mangiare a noi poveri artisti di strada, ma quell'anno, era il 1987, c'era stato un freddo così intenso che forse per il troppo ghiaccio erano fallite molte fabbriche a Milano, e tanti operai e poveri uomini erano rimasti senza un soldo e allora si veniva a Brera tutti per cercare un pò di compagnia e, perchè no?, un buon amico con cui chiaccherare e riscaldarsi, complice naturalmente il caffè bollente dei bar vicini e la grappa delle montagne che quotidianamente qualche contadino di buon cuore portava giù in città.
E così ce ne stavamo seduti anche quella notte, la Santa Notte prima di Natale, su quella lunga panchina di pietra di via Madonnina a Brera, a scaldarci con le nostre chiacchere, i caffè bollenti e i bicchieri di grappa che giravano vorticosamente da uno all'altro. Battute, storielle, storiacce, mezze barzellette, e tre quarti di proverbi per tenerci su, fare baccano e trovare tra di noi qualche calore che i più spregiudicati di noi avevano l'ardire di chiamare nientemeno Speranze.
Ce ne stavamo là, seduti come dei balordi poveracci la Vigilia di Natale che certamente nemmeno ci potevamo permettere di andare in una locanda e ordinare la cena e lo spumante per festeggiare l'arrivo di Nostro Signore. Forse qualcuno di noi era pure disperato, ma tutto sommato la compagnia e la grappa facevano tanto di quel frastuono che certamente tutti noi scordavamo i brutti pensieri e i cattivi presentimenti, derivanti dalla nostra esistenza così precaria e così fatalmente sconclusionata.
Di quando in quando arrivavano sempre nuove tazze di caffè bollente che ognuno di noi si offriva l'uno con l'altro, e nuove bottiglie di grappa che certamente riscaldavano l'ambiente, il quartiere e, perchè no?, tutta quanta l'incredibile sterminata grande metropoli dove il destino, la fortuna o chissà cos'altro ci aveva radunato  per festeggiare per quell'anno, era il 1987, la Vigilia del Santo Natale di Nostro Signore Gesù Bambino, ancora però non nato in quelle ore di freddo così intenso che i nostri fiati tremolavano un pò nell'aria prima di sparirsene di botto per la via deserta e male illuminata.
Ma ecco che verso le 11, il freddo era micidiale e il vento che calava gelido dalle montagne, dopo aver attraversato a zig-zag tutti i vicoli di Brera, arrivava fino a noi quasi stecchendoci come baccalà senza alcun tipo di timore o di particolare pietà. Ma ecco, dicevo, arrivare tra di noi, intabarrati nei nostri cappottoni e nei nostri cappellacci di lana tipo spaventapasseri, tre ragazzi con tanto di ali bianche, sembravano angeli.
"Oh, ma che scherzi sono questi ? Non siamo mica a Carnevale!", dice Balzano e s'accartoccia nel suo stupore.
"Ma che scherzi! Ci manda chi sapete per portarvi un pò di cena e un pò d'amor di Dio", dice uno di questi ragazzi vestiti da angeli.
"Chi sappiamo noi un paio di corna di vacca!", dice Pistacchio.
Ma poi vediamo che davvero questi ragazzi vestiti da angeli ci hanno portato panini con le cotolette, torte alla cioccolata e come se non bastasse ben tre bottiglie di grappa.
"Urrà a chi sappiamo noi!", urlò allora Balzano.
"Urrà!"
"Urrà!", gridammo un pò tutti.
E allora, per tavola la nostra stessa lunghissima panchina di pietra, ci mangiamo i panini, le torte e tazziamo alla grande con le nuove bottiglie di grappa. E Caramella mise mano alla sua armonica e cominciò a suonare blues. E chissà da dove spuntò una chitarra tra le mani di Andrea Tabacco e allora cominciarono a venir fuori vecchie arie e antiche canzoni di Natale. L'allegria aumentò e l'euforia pure. E dalle case là intorno cominciarono a venir giù altri ragazzi, altre ragazze e tutti insieme a cantare e qualcuno pure a ballare.
E la gente non se ne veniva con le mani vuote, cominciarono a portare pane, salame, prosciutti, bottiglie di vino, dolcetti, altre bottiglie di grappa. E tutti insieme, su quella povera panchina di pietra di Brera, in via Madonnina, ci mettemmo a festeggiare qualcosa che forse manco noi sapevamo per bene cosa era, ma era di certo qualcosa che aveva a che fare con la Notte prima di Natale, qualche ora prima che venisse a questo mondo il Santo Gesù Bambino.
E un barista ci portò due secchi di rame con dentro un bel pò di carbone acceso per riscaldarci, ma eravamo già abbastanza caldi, per dire la verità, ma quel pensiero gentile ci scaldò ancor più dentro. E una ragazza ci portò qualche barattolo di ciliege sotto alcool e ce le regalò per scaldarci anche lei, ma noi eravamo già caldi, ma quel pensiero buono ci scaldò ancor più. E un'altra ragazza portò delle lampade e delle luminarie e le posò tutt'intorno a noi per fare più festa e allegria, ma noi eravamo già in festa e in grande allegria, ma devo confessare che quel pensiero caro ci rallegrò ancor più.
E accadde che la voce di quel che stava avvenendo sulla lunga panchina di pietra di via Madonnina a Brera arrivò anche alle prostitute e ai mariuoli che stavano facendo il loro mestiere sui viali attorno a Parco Sempione e arrivarono anche loro e si unirono alla compagnia, e si misero a mangiare dolcetti, a bere grappa e a cantare canzoni natalizie pure loro e smisero il loro gramo mestiere almeno per una notte, la Notte prima che arrivasse il Santo Natale.
E quei tre ragazzi vestiti da angeli continuarono anche loro ad abbobbare quel posto così allegro e così caldo con le loro bianchissime ali e i loro sorrisi, tanto che finalmente il vento gelido, che calava a zig-zag dalle montagne innevate attorno a Milano, fu fermato e non penetrò più nei vicoli di Brera dove stavamo noi. E arrivarono pure operai licenziati, poveri sbandati, vagabondi di tutte le risme, e coppie e ragazzi soli, e vecchietti solitari. Tutti insieme a mangiare, a bere e a cantare. A batterci le mani sul petto, a sorriderci,  a urlare la nostra gioia di stare insieme e di festeggiare.
Era davvero una Notte prima di Natale da scrivere per sempre negli annali della città, e se non della città, almeno in quelli della nostra vita. Così tutti insieme, tutti pieni di fiducia, con tutte le finestre illuminate intorno a noi e le persone affacciate con il viso contento e lo sguardo lucente, e tutti noi come sotto un albero agghindato di palline tutte splendenti e fosforescenti, con tutte le speranze accese e i desideri luminosi. Che cena di Vigilia, ragazzi! Panini, cotolette, dolci, grappa e pace tra gli uomini, simpatia, benevolenza, poveri e non poveri ma tutti quanti di buona volontà. La grappa dei tre ragazzi vestiti da angeli aveva portato bene, ci avevano regalato e noi avevamo regalato a nostra volta sorrisi e felicità a piene mani. Che gran regalo di Natale che ci eravamo fatti l'uno con l'altro, dolcetti, vino, canzoni e armonia, e carità e compassione vicendevole. Aiuto reciproco e solidarietà. E poi quella stella cometa gigantesca che c'era là nel cielo, là proprio appesa nel cielo di Milano: l'amore degli uomini fratelli tra di loro, di questa santa città di panettieri che mai si scorda di dare a ognuno di noi la nostra pagnotta quotidiana.
Arrivò finalmente mezzanotte e tutti allora cominciarono a gridare: "Buon Natale! Buon Natale a tutti!"
E tutti sorridevano e tutti erano felici, e tutti ci abbracciavamo e ci baciavamo tra di noi. Senza malizia, senza vizi, di nuovo tutti quanti con il cuore puro e immacolato di quando eravamo bambini.
"Buon Natale! Buon Natale a tutti!"
E fu allora che i tre ragazzi vestiti da angeli gridarono: "E' nato Gesù Bambino, fratelli! E' nato Gesù Bambino, fratelli! Pace e Bene a tutti, a tutti nessuno escluso, Amore e Felicità a tutti gli uomini di buona volontà!"
E sorridevano e le loro ali erano bianchissime. Ma erano davvero tre ragazzi vestiti da angeli o proprio tre Angeli scesi dal cielo per rallegrare una piazza fredda di Milano dove un gruppo di ragazzi se la stavano passando male proprio la Notte prima di Natale?
Non lo so, non l'ho mai saputo.
Fatto sta che i tre ragazzi vestiti da angeli sparirono all'improvviso così come erano apparsi. Ma tutti noi ancora lì, a ridere e a cantare e a bere quella santa grappa che ci era scesa dal cielo del grande buonumore di vivere che hanno certe volte gli uomini quando si mettono in mente che davvero sono tra loro fratelli, come ben disse Gesù, non tanto tempo dopo che fu nato.
Che Natale a Brera, Milano, nel 1987, ragazzi!
Da scriverlo davvero negli annali della città, e anche se nessuno ci ha mai pensato a scriverlo, io almeno ci ho tentato di annotare qualcosa con questo mio umile racconto di scrittore underground di strada...
Buon Natale, ragazzi! Dovunque voi siate e che il Natale vi trovi tutti sereni e felici e vi porti tutto il Bene che ci vuole, e ce ne vuole davvero tanto in questi nostri tempi un pò facili ultimamente a un certo qual sbalestramento.
Ma... Buon Natale, ragazzi! Buon Natale a tutti!
E che i Tre Santi Angeli della Notte di Natale vi benedicano a tutti, nessuno escluso!
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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PASSAPAROLA

lunedì 3 ottobre 2011

LO STESSO PELO racconto contadino di g.d. angelillo

Una volta un cane randagio morse d'improvviso un contadino.
"Maledetto, il pelo che m'hai strappato, lo stesso pelo ti strapperò", gridò il contadino e slanciatosi sul cane lo morse a sua volta su una gamba.

Il morso del cane è pericoloso ma il più pericoloso di tutti è il morso dell'uomo.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO
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