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venerdì 9 agosto 2013

I MIEI BALLI CON ALDA MERINI

    Alda era una donna tragica, come diceva molte volte lei di se stessa, ma aveva al contempo una grande allegria che le veniva direttamente dal suo grande amore, infinito e senza condizioni, per la vita, che lei faceva coincidere in un bel volo pindarico con l'unico paradiso possibile per gli uomini.
    Una volta fummo invitati insieme per una presentazione di una rivista che non mi ricordo più come si chiamava. Era in un grande spazio di eventi pubblici a Milano, dalle parti di piazza della Repubblica. C'erano molti personaggi famosi del mondo dello spettacolo e delle lettere della città. Mi ricordo che c'era Stefano Zecchi, il mio professore della Statale, allora Assessore alla Cultura della città (e probabilmente era stato lui che mi aveva invitato o la stessa Alda, non mi ricordo bene), Umberto Eco, Francesco Alberoni, Roberto Vecchioni e tanti altri artisti famosi e no. A un certo punto, nel corso della manifestazione, un pianista cominciò a suonare una musica molto bella a un grandissimo pianoforte a coda, e a Alda le venne una voglia irrefrenabile di ballare. Cominciò a invitare gli uomini che erano accanto a lei, ma tutti invariabilmente declinavano accigliati l'invito e si allontanavano in tutta fretta, come presi pure da un moto di fastidio, per una richiesta così anomala e poco accademica, data la seriosità assoluta di tutto l'evento. Alda allora, disorientata, cominciò a guardarsi attorno alla ricerca disperata di qualcuno che desse retta al suo bisogno improvviso di ballare, ma tutti capendo la sua intenzione o voltavano le spalle o addirittura guadagnavano una posizione più lontana dal suo sguardo sperso. 
    Io naturalmente non avevo nessuna intenzione di ballare e così di mettermi in mostra in quella ridda di intellettuali, nella loro stragrande maggioranza tutti con il naso all'insù, e farmi ridere e tagliare dalle loro affilatissime lingue alle spalle. Ma a vedere Alda, spersa, rimasta sola e desolata in mezzo alla pista, senza ormai più nessuna speranza che si facesse avanti un cavaliere che le rendesse onore, mi feci coraggio e pensando: "Ma che minchia me ne frega di tutti questi soloni e palloni gonfiati, è lei la migliore di tutti", andai da lei, la presi per la mano e insieme attaccammo un valzer naif e popolare, ballando alla buona ma con grandissima allegria, sembrando quasi ubriachi di gioia, trascinati veramente da quella bellissima musica del pianista, pestandoci almeno una cinquantina di volte i piedi, e ogni volta era uno scoppio di risa da parte nostra. Solo noi due in tutta quella grandiosa pista, con le centinaia e centinaia di ospiti a guardare increduli quel numero estemporaneo e folle, ma così allegro e spontaneo, che molti si misero a sorridere compiaciuti, molti a disapprovarci con sguardi severi e alteri.
     Mi ricordo che c'era una troupe di Rai 3 che riprese divertita la scena e poi la mandò in onda in un programma culturale, riprese che nè io nè Alda abbiamo però mai viste.
     Alla fine della musica e del ballo Alda era così raggiante e felice. Eravamo stati gli unici a esserci lasciati andare al richiamo di Dioniso e di Orfeo, e di esserci messi al suo seguito senza pensare a nulla, e meno che meno a quello che potevano pensare gli altri.
     Mi ricordo che venne da me un professorone universitario e scrittore famoso (di cui taccio per carità di patria) e affrontandomi a muso duro mi disse:
      "Giovane, lei non avrebbe dovuto. Una scena davvero incresciosa".
      "Ma fatti gli affari tuoi, mister. Non sei mica te il padrone della ferriera qui dentro!", gli risposi sarcastico.
      Lui strabuzzò gli occhi e si allontanò scandalizzato, prendendomi per un imbucato fuori dal coro.
      Dopo quella volta, a casa sua, Alda certe volte metteva al suo registratore scassato delle canzoni che le piacevano molto, per lo più di Celentano e di Lucio Dalla, ma anche di Domenico Modugno e di Mina,  e mi diceva ridendo:
      "Dai! Balliamo!"
      E io l'accontentavo sempre naturalmente. E lei si lasciava andare, mettendosi a sognare della sua gioventù, dei suoi vecchi amori andati, della dolcezza della vita, anche nei suoi duri resoconti di sempre.
     Credo che una delle più belle cose che Alda mi abbia detto sia questa:
      "Come sappiamo divertirci tanto noi due, Giuseppe, con le preziosissime briciole che ci passa la vita".
       Io devo confessarvi, amici, che con Alda non ho mai parlato nè di poesia nè tanto meno di letteratura, argomenti che lei evitava nel privato come la peste, ma sempre e soltanto delle piccole grandi cose che ci capitavano nella vita di tutti i giorni. Semplicemente perchè per lei era solo questa la sola vera grande poesia di ognuno di noi.
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO   

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