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venerdì 26 settembre 2014



IL PASTORE DEL PAESE

se ne raccontano cose con un paese per romanzo,
quella signorina per esempio
e come se la tirava per via roma
e alla discoteca di nino surico
piantata per intero in un garage su al convitto,
ora è diventata una rospa gonfia
che non se la fila più nessuno,
ma quanta importanza si dava
sulle carovane affollate
che partivano per i pink floyd
e quel pazzo scatenato che non se la sentiva più
di scintillare nella notte buia,
tutto gonfio come un rospo pure lui 
di birre e amicizia tradita tutta d'un botto,
ora allargano il cimitero,
fanno pubblicità alla cipolla rossa,
al cece nero sotto il materasso di chissà quale
principessa smarrita,
ma io mi ricordo oronzo romano
che passava con un gregge di 150 capre
davanti a casa mia,
da solo,
con un lungo bastone in mano,
alto e massiccio come un guerriero contadino,
una giacca fatta con una pelliccia bianca
di una sua stessa pecora,
fiero e dritto come un patriarca
che fischiava ai cani pastori
e ai montoni in testa
che stessero bene attenti a mantenere la disciplina
in tutti i ranghi,
anche nell'ultima fila degli agnelli,
che si andava verso una campagna in fiore
non in una palude qualunque,
ricca solo di acque di poco conto.
la bella primavera sempre vergine
dei campi nostri del paese,
dell'acqua nostra sempre viva e mezza pazza.
io, un ragazzino di una decina d'anni,
rimanevo sbalordito a guardare quella svelta
e imperiosa marcia,
e dietro al gregge un mare infinito di ceci neri.
io pensavo: "ma perchè mai nessuno se li raccoglie?"
GIUSEPPE D'AMBROSIO ANGELILLO 

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