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giovedì 10 dicembre 2015

CRITICA ALLE POESIE di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo di Valerio Gaio Pedini





#Letteratura:Critica alle poesie di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo -di Valerio Gaio Pedini- ( con 2 poesie scelte da " Il cavaliere del secchio- poesie metropolitane")

D'Ambrosio ha edificato una filosofia poetica sul semplice. Un ignorante potrebbe affermare che l'ha fatto prima di lui Bukowski. Ma Bukowski non era un filosofo, ma un grottesco. Invece leggendo i racconti poetici di D'Ambrosio si può notare la filosofia del semplice.Prendiamo a caso una poesia e otterremo il semplice che fluisce nella narrazione, cose frugali, piccoli gesti e dell' ira. Da quì si capisce che D'Ambrosio è un poeta contadino, il miglior filosofo contadino vivente. Difatti Acquavivva è il ricordo della campagna : la beatitudine, la santità, Dio che scorre nelle vene, Dio che s'incontra nel frugale. Quindi D'Ambrosio è il semplice e Dio è la semplicità che scorre in noi. 
Cos'è la filosofia del semplice? Che categoria letteraria è?  è una categoria che pone la base sul semplice e lo illustra con immagini complesse. In Italia ce ne sono solo tre: Giuseppe D'Ambrosio, Siria Comite e Gianni Calamassi. E da lì rinasce tutto come fiori in primavera e decade come foglie in autunno. è l'inutile che diviene utile; è la poesia delle piccole cose che diviene immensità. 
E D'Ambrosio si inserisce in questi tre, in un' immensità d'immagini. 

2 poesie scelte di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo da
"Il cavaliere del secchio (poesie metropolitane)":





il gattone guercio


In questo orto di periferia
il Brigante gattone guercio
si lecca lento montando la guardia
sul confine indifeso della mia vita.
Le utopie d'India
mi confortano l'anima per prime,
mentre l'estate mi gratta piano
le mie dolci pene
come un'amante che si nasconde
per non esser cacciata via
e ancora si giace accanto...
Dirò la verità:
mi fa male la testa
per la tenebra che non riesco a scolarmi tutta
come questa bottiglia di birra,
ho dormito tutto il giorno
al lievere battere della pioggia
sui tetti dei cortili.
Brigante gattone guercio è tutto fradicio,
gocce lente 
gli colano dall' occhio morto
come lacrime improbabili 
eppure è là che non si lamenta,
è là a difendere il suo principato
dalle invasioni nemiche,
che a qualcuno approfittando del cattivo tempo
non gli capiti di pensare a qualche sortita
sui tesori
dei mucchi dei rifiuti,
a attentare alle gatte nascoste coi micini 
nel buio delle cantine abbandonate.
"Giuseppe,
mi dice qualcuno al telefono. 
Hai una voce così cupa. 
Che t'è successo?
Giuseppe, hai un tono così triste".
Nel cielo una nuvola nera
a forma d'elefante
attraversa le savane sterminate 
dei miei dubbi.
Delle mie inquietudini. 

Alla radio qualcuno canta allegro:
"mi fai stare bene,
meglio di così non son stato mai,
mai, MAI".
La notte avanza intanto
in forme di latrati lontani.
Molti sono al buio
che ascoltano...
e aspettano...



I pesci di Rodi

Ero nel porto affondato di Rodi
e vicino mi passò un delfino
e una nave romana fradicia
e l'occhio di un dio squartato.
Così mi fermai vicino a una colonna ionica
mi feci un cannone 
e mi misi a guardare i pesci.
Noi pure una volta fummo pesci
e in un certo senso lo siamo ancora.
Beviamo acqua 
e cielo
e colori affini.
Pattugliamo il mondo
e il mare è lo stesso,
quello che ci vede felici
friggere il prosciutto con le uova
sulla spiaggia.
Fumavo forte 
e scrivevo, 
ero un filosofo di Rodi
con mille libri da commentare
con mille libri da terminare. 
Guardai la massa d'acqua 
e sembrava una faccia semovente.
e il sole dipingeva una capanna di raggi
su di me
dicendomi che lui era il pesce più buono
e che tutti
erano figli suoi.
Io allora cominciai a nuotare lento
sul porto affondato
e i pesci mi vennero vicino
mi sfiorarono
mi passarono attorno
e così ero anch'io un pesce come loro.
Ma s'avvicinarono pure 
due pescecani
con due martelli enormi,
avevano un unico braccio
e potevano sfondarmi la testa
a loro comando 
e piacimento.
Io risalii
e loro pure
splendendo nel sole 
come scaglie d'argento vivo.
E poi riaffondai e scesi basso
e loro dietro,
indecisi sul da farsi.
Mi sfiorarono 
e con le bollicine
parlavano fra di loro,
come nei fumetti.
Io potevo sapere tutto
delle loro intenzioni, 
erano un quaderno aperto per me. 
Ne arrivarono altri due, 
ed erano quattro. 
Sentii la loro decisione: 
Quel pesce strano a quattro pinne 
potevano mangiarselo pure!
E io saettai fuori come un fulmine
e dal cielo cominciai a buttar loro
macigni antichi di Grecia.
Non me n'ero ancora andato in malora
a tal punto
da farmi fregare da quattro stupidi squali,
e me ne volai sui boschi di Rodi
vidi una ragazza
e volli spaventarla con i miei cani feroci
immaginari. 
"Scusi, signore,
non mi può spaventare così alla leggera",
disse lei. 
"Perchè mai? ", chiesi io. 
"aspetto un bambino", disse lei. 
"Ah! Scusi, 
sarà per un' altra volta", feci io
e mi sentii contento.  

"IL CAVALIERE DEL SECCHIO"
poesie metropolitane
di Giuseppe D'Ambrosio Angelillo
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